

Nato in Argentina a Buenos Aires il 6 agosto del 1976
In Italia, a Tarquinia dal 1982.
In Spagna, a Madrid dal 2008 al 2013
Studia per cinque anni tra il Liceo Artistico Tuscia di Viterbo e il Liceo Artistico Via Ripetta a Roma.
Mostre collettive:
ADorazioni (Università Agraria) Tarquinia, edizioni 2005, 2006 e 2007.
Mostre personali:
2004 "Energie Passive" Ex Chiesa del Santo Spirito, Tarquinia.
2007 "Dipinti e Disegni" Società Tarquiniense d'Arte e Storia, Tarquinia.
2008 "Dipinti" Società Tarquiniense d'Arte e Storia, Tarquinia.
2009 ""Dibujos" (esposizione di disegni a matita e china) Galeria Aquisehacencosas, Madrid.
2009 "Argonauti" Società Tarquiniense d'Arte e Storia, Tarquinia.
2010 "Divinos Etruscos, retratos de un cielo" (esposizione di acrilici) Centro Cultural Julio Cortázar, Madrid.
2011 "Il Corteo dei Misteri" (esposizione di dipinti, acquarelli e ceramiche) Ex Chiesa del Santo Spirito, Tarquinia.
2011 "Mujeres del Mais" (esposizione di disegni) Associazione Culturale "La Bagatela", Madrid.
2012 "BAKXAI" (esposizione di dipinti, disegni e ceramiche) Ex Chiesa del Santo Spirito, Tarquinia.
2013 "NUDE" (esposizione di disegni a matita) Sala David Herbert Lawrence, Tarquinia.
2014 "LASE, prima degli angeli" (esposizione di acquarelli) Sala David Herbert Lawrence, Tarquinia.
2014 "Etrusconautiche" (esposizione di acquarelli) Sala David Herbert Lawrence, Tarquinia.
2015 "ENCHEIROGASTORES" (esposizione di acrilici e olii) Sala David Herbert Lawrence, Tarquinia.
2019 "ALIUS PULCHRITUDO" (esposizione di disegni e acquarelli) Sala David Herbert Lawrence, Tarquinia.
Concorsi e premi:
2009 "VIII Concurso de dibujo" Real Academia de Bellas Artes de Nuestra Señora de las Angustias, Granada.
2010 "Artemático" 5 edición - Escuela de Arte, Guadalajara (terzo premio).
2010 Fiera d'Arte d Parigi" - Salon Art Carrousel du Louvre, Parigi. (Galeria Javier Román, Málaga)
Attualmente vive e lavora ad Amsterdam.
Considerazioni a margine di una fase artistica (2018-2020)
Circa "Alius Pulchritūdo" (un’altra bellezza). Origine, sviluppo del pensiero e obiettivi annessi
Contrariamente a ciò che sul panorama artistico internazionale la tendenza o la “vulgata” avrebbe la legittima pretesa di imporre, seppure con tutti i limiti e le particolarità di ogni singolo artista, la mia necessità di rappresentare taluni soggetti prende forma da un pensiero preciso che non si basa, o meglio non scaturisce dall’opportunità di denunciare un fatto, di raccontare o di descrivere un tema specifico, di portare all’attenzione del pubblico una questione morale o etica attraverso qualsivoglia linguaggio visivo o azione, che sia palesemente o meno legata al periodo storico in cui stiamo vivendo, che non nasce dall’intenzione di fare “politica”, di proporre quell’arte “engagé” tanto cara alla contemporaneità (che io stesso ritengo storicamente necessaria o almeno utile ad un fine ultimo responsabile e quantomeno doveroso considerata l’evidente immoralità sociale ed ecologica che è sotto gli occhi di tutti), di un pensiero in definitiva che abbia interesse particolare, specifico, ovvero volto ad operare dichiaratamente sul mondo, tutt’altro. Il mio pensiero nasce da quella necessità interiore che è strettamente legata all’anima, alla mia anima in particolare in quanto individuo e di conseguenza all’anima universalmente riconosciuta, quella che ogni essere umano, empiricamente, ha. O almeno è così, in questa fase introspettiva del mio percorso artistico.
Tenendo in forte considerazione il tempo in cui viviamo dove la società tecnologica postmoderna impone degli “universali” quali modelli di stato, di economie, di diritto, di scienza eccetera come dogmi dai quali diventa impossibile per una parte considerevole dei popoli annessi a taluni sistemi di discostarsi da essi, almeno per quelle società “occidentalizzate”, e per questa impossibilità di essere tutti d’accordo su quali modelli di società costruire che non siano quelli basati esclusivamente sull’esasperante concetto di tecnica, il mio pensiero tende a discostarsi da questi schemi. La contemporaneità dunque, rinuncia all’universalità come senso. Universali come il diritto, la religione, i rapporti umani, l’etica, l’ambiente, la politica sono stati piegati dalla tecnocrazia che ha la pretesa di persuadere gli uomini a credere che essa sia un’universale, ma non lo è in quanto la tecnica non porta in sè alcun senso, dove la profondità del pensiero è completamente assente e i suoi fini sono effimeri perché legati unicamente ad interessi particolari a concezioni come l'edonismo, quindi al materialismo e al denaro. Per tanto il mio obiettivo e diciamo così il mio “impegno artistico” come etica deontologica si prefigge di proporre un’arte slegata dalle correnti e dal pensiero artistico dominante, un’arte che abbia una profondità di pensiero, una portata ontologica laddove il senso dell’universale (in questo caso l’uomo nella sua accezione più complessa e vasta e quindi la natura in quanto senso universale) è la cifra che ambisco a comunicare con l’ardua pretesa che lo spettatore inneschi dentro di sé il ragionamento, il “logos”, al fine di comprendere (o tentare di farlo) l’universale in quanto esso rappresenta ciò che è conosciuto dalla ragione, è concetto che trascende i casi particolari e quindi ci permette di andare al di là di essi.
E se è vero che “il vero” passa attraverso la ricerca dell’universale, se il vero è ciò che descrive universalmente tutti gli aspetti qualitativi della realtà allora la mia opera può essere interpretata come un atto di verità.
Le figure femminili che realizzo quindi, sono simboli ovvero elementi che a partire da una rappresentazione evidente, chiara, che (apparentemente) non lascia spazio al dubbio, ci fanno pensare senza che nessun concetto e nessuna rappresentazione specifica si esaurisca nel pensiero stesso.
Simboli o “simulacri” che mantengono sempre in sé un’eccedenza volta al pensiero che non termina nel dato di ciò che essi rappresentano, ovvero figure (femminili) ineccepibili che imitano la realtà, ma trascendono il loro aspetto immanente, quindi ci permettono di riflettere sull’origine dell’uomo e del suo ruolo nell’universo. In altre parole sono immagini, figure, che evocano l’essenza simbolica dell’uomo e uomo non come ente diveniente partecipe del tutto ma come ente eterno ed immutabile in quanto idea. Donne in quanto idea di uomo e uomo in quanto concetto universale. Nonostante abbiano una parvenza di carattere femminile e la loro postura in alcuni casi risulti dolce e fragile, esse si impongono prepotentemente, con forza, (pur mantenendo sensualità ed erotismo), come testimoni ideali dell’umanità dove il carattere figurativo si metamorfizza attraverso poligonali da piane a solide, celando l’identità e provocando il mistero; sono “eidos nell’arché”, figure nel tutto dove la loro geometricità è l’azione che determina la ricerca dell’armonia, della giusta proporzione, quindi del bello e dove il carattere trascendentale intrinseco ad ogni opera emerge nella ricerca delle condizioni di possibilità che sono proposte non solo al giudizio critico ma al più profondo stimolo al pensare.
Solide, instancabili nemiche del sonno le figure che appartengono a questa serie sono esseri individuali e mai in gruppo in quanto possiedono una propria aura, incapaci di decodificare il mistero che portano in sé, ma che attraverso la metamorfosi (dal biologico mutano e accedono allo stato meccanico, al geometrico che si muove nello spazio), determinano una “ricerca esteriore” che noi, osservandole, possiamo percepire e innescare di conseguenza una nostra personale ricerca interiore.
La totale assenza di paesaggio prefigura la collocazione delle figure all’interno di uno spazio o nello spazio inteso come il tutto nel quale gli enti divengono e nel quale si esauriscono per tornare ad essere, rappresentando così la centralità dell’uomo (in quanto idea di natura) nell’universo stesso. L’assenza di paesaggio non è quindi una rinuncia, bensì una scelta in quanto l’oscurità talvolta impenetrabile dello sfondo garantisce un isolamento che permette la comprensione dell’uomo e ne favorisce la conoscenza, in altre parole se mettere in relazione, attraverso uno sguardo maturo il paesaggio col soggetto, può aiutarci ad una comprensione degli avvenimenti all’interno dell’opera come all’esterno di essa, così la relazione tra soggetto ed assenza di paesaggio ci permette di intraprendere un viaggio all’interno di noi stessi o almeno ci indica una direzione centralistica dello sguardo fornendoci di conseguenza un nuovo accesso, una chiave di lettura altra (rispetto a quella che paradigmaticamente ci viene imposta), per ciò che c’è all’esterno di noi stessi. E la relazione tra lo sfondo talvolta scuro, quasi imperscrutabile e il soggetto in primo piano che per quanto avvolto dal mistero è chiaro, definito, illuminato non è altro, come direbbe il poeta R.M.Rilke, che la trama della vita: davanti in primo piano il soggetto ovvero il nostro divenire, il nostro passaggio e la nostra dissolubilità incontrovertibile di singoli individui, mentre laggiù, nello sfondo si manifesta l’essere nella sua accezione più alta, nell’eterno ed immutabile.
E dunque questa relazione diviene melodia.
Una melodia dal carattere soggettivo ora, ovvero un’armonia totalmente interna alla nostra soggettività (metamorfosi della figura in primo piano) e dal carattere conoscitivo poi, ovvero nella conoscenza del vero in quanto rapporto dell’essere con l’ontologia (sfondo oscuro, impenetrabile).
In altre parole l’affermarsi del soggetto in primo piano che è cosa diveniente e quindi si dà nel divenire, afferma esso stesso una realtà non diveniente, eterna ed immutabile che sta a fondamento di quelle cose divenienti che sono in primo piano e che l’opera attraverso suddetta relazione che diviene melodia ci fornisce gli strumenti per pensare a questa realtà che è il modello labirintico dell’animo umano. Qualcosa quindi strettamente legato al nostro sentire più ancestrale, più nascosto.
Per tanto, il tentativo ambizioso che è mosso da sentimento e al contempo dal pensiero, è quello di creare un’immagine della vita più profonda.
Cromatismi
Rispetto ai colori, la scelta ha un contenuto semantico, per quanto semplice, assai chiaro e ricco di significato: il blu, l’arancio e le terre imitano i cromatismi di elementi primordiali ovvero l’acqua, il fuoco, la terra, testimoni anch’essi dell’origine del mondo e alla sua creazione ed in quanto natura, sono elementi strettamente correlati all’uomo.
Bellezza
Oltre a quello legato all’essere diveniente in relazione a quello eterno ed immutabile, v’è un secondo motivo per il quale la scelta della figura umana s’impone irresistibilmente sul mio pensiero e di conseguenza sui miei lavori ed è il concetto filosofico di bello e la sua annessa costante ricerca. Una ricerca volta a scorgere l’aspetto “eterno” che si dà nelle cose belle ovvero la bellezza che trascende il divenire e che si istituisce come “non diveniente”.
Il bello ideale e il bello sensibile che senza contrapporsi, si uniscono. Il bello ideale tende verso la metafisica mentre quello sensibile verso la natura esperita attraverso l’estetica, verso l’atto artistico. Entrambe queste due idee di bello comunicano all’interno dell’opera: il bello sensibile si manifesta come nella bellezza classica (in quei tempi da subito come ideale) applicata alla figura umana (nel caso specifico delle mie opere al corpo femminile), per mezzo di caratteri quali l’armonia, la proporzione, l’equilibrio, l’ordine di una corretta distribuzione delle parti (geometria); mentre il bello ideale, ovvero la bellezza eterna ed immutabile la si scorge attraverso l’osservazione di quella bellezza particolare sapendo coglierne ciò che emerge da essa ovvero la conoscenza epistemica e cioè quella conoscenza universale e necessaria del tutto eterno ed immutabile che abbraccia l’essere in modo ben più profondo rispetto al modo con il quale un ente diveniente abbraccia l’essere.
La bellezza all’interno di queste opere dunque, in quanto universale, può essere colta da tutti per mezzo dell’armonia che essa infonde in ogni individuo, nonostante nessun concetto o categoria stabilisca quale sia la verità riguardo la bellezza e nulla e nessuno ne garantisca tale universalità. Un principio ideale questo, che genera valori apparentemente astratti, ma che si concretizzano attraverso la connessione con l’invisibile, con il concetto ontologico.
La bellezza sensuale dei corpi quindi non si esaurisce in essa, ma va oltre puntando alla sua oggettività metafisica e mutando così in una bellezza invisibile agli occhi e quindi sovrasensibile. La bellezza quindi come porta d’accesso all’invisibile che di conseguenza si trasforma in una bellezza auratica, sacra, iconica come quella che caratterizza tutta l’arte classica a me tanto cara, in un tempo come quello attuale in cui la bellezza del sacro (almeno così, a mio giudizio, in buona parte dell’arte contemporanea che tende a favorire concetti pratici e tecnici) è andata perduta in quanto l’aura di un’opera è inversamente proporzionale alla sua riproducibilità tecnica, laddove la bellezza, (come esperienza estetica e come valore universale) è stata svuotata di ogni significato.
Ed è per questo che la “bellezza = verità” (e non bellezza = attributo retorico che costruisce illusioni) è il paradigma stabile di tutti i miei ultimi lavori e dove il termine neutro e astratto “pulchritūdo” ovvero bellezza, assume un significato ancora più profondo. Il mio invito quindi è quello di giungere, attraverso la fruizione vigile della mia opera e la relativa esperienza estetica ad una conoscenza del “bello” eterno ed immutabile, e successivamente alla conoscenza incontrovertibile del “vero” eterno ed immutabile.
E inoltre attraverso l’esperienza estetica in riferimento al bello in quanto conoscenza incontrovertibile dell’eterno possiamo intervenire sul mondo e ambire così a realizzare un modello che garantisca una vita migliore a tutti gli esseri umani e quindi significativamente questa mia ossessiva ricerca di una nuova bellezza sovrasensibile assume anche un carattere interessato e non un interesse pratico, particolare, ma alto ed universale.